5 Blue Questions // SARA JANE CECCARELLI
20 Ottobre, 2016Complimenti per il disco, è pazzesco!!!
dalla prima traccia! Quanto lavoro c’è dietro?
cosa hai provato durante la sua realizzazione?
Grazie per i complimenti, ne prendiamo tutta l’energia positiva.
Dietro al disco, come nelle quinte di un teatro, c’è stato movimento frenetico e continuo che permette alla “piece teatrale” di funzionare. Siamo stati dei veri e propri operai instancabili. Ho marciato dritto e chiesto ai miei “soci” di fare le ore piccole per 4 mesi. sono stati instancabili. Tutti volevamo arrivare a dire “ok ci siamo” e fino a quel momento non ci siamo accontentati.
Ho vissuto emozioni contrastanti, gioia, ma anche incertezza, paura di non arrivare a provare la sensazione che poi è invece arrivata, amore per i brani ma anche subito voglia di scriverne altri. Anche tanta adrenalina. Ero molto concentrata.
Cosa rappresenta questo disco per te? raccontaci un aneddoto
particolare che ti ha fatto capire che questa linea creativa era la direzione da seguire…
La prima volta che abbiamo per gioco provato s suonare i brani in studio. Stavo usando per la prima volta un voice loop digitale, Andrea ha acceso i suoi synth, Luigi ha fatto un video. Mi è piaciuta la sensazione di ascoltare le mie tracce di voce sovraincise sopra una base di drum, un mondo nuovo per me, sia come ascolto che come performer. Ma come ormai ci confermano gli speaker che ci hanno ospitati live a studio e i fan che mi seguono da tempo, la mia voce sembra nata per questo genere. Ma questo è uno dei miei generi. Ed è uno dei dischi che farò, e che saranno probabilmente molto diversi tra di loro, perchè il mio must è la musica, tutta. Solitamente il primo disco è l’approdo di ciò che è avvenuto prima, e un punto di ripartenza. Io arrivavo da 15 anni di cover in duo acustico. E il mio primo disco è un elettropop con incursioni folk.
La mia vita musicale è molto variegata e a me piace affrontarla così.
I cambi di ritmica in un singolo pezzo sposano benissimo la tua voce,
come nasce proprio la scrittura e la composizione di un tuo brano?
I brani sono nati perlopiù al piano. O addirittura a cappella, ho lo zoom sempre con me. Non avevo idea del tipo di arrangiamento che avrebbero avuto. Un anno prima abbiamo registrato un preproduzione alla Casa del Jazz in acustico, un progetto completamente diverso. Ma le melodie sono le stesse, per intenderci. Più andavo avanti nella strutturazione del disco, più mi rendevo conto che c’era della malinconia nelle mie melodie, come diceva la mia fotografa “tu insisti che io lavori con foto sorridenti, ma questo disco vive emozioni contrastanti…lascia che io ti rappresenti”. In effetti ero poco obbiettiva. Quindi l’elettronica ha sposato meglio di ogni altro “mondo sonoro” le mie melodie, sempre però con un piede nel folk e rock, con l’uso di chitarra elettrica e acustica, contrabbasso e fiati ospiti qua e là.
Quali sono i tuoi “Essentials” ossia degli
oggetti da cui non ti separasti mai…
Ho scoperto di non essere legata agli oggetti, e questo mi ha stupita. Accumulo roba, ma da due mesi ho le mie cose in un box e dormo ospite qua in la’ un attesa della nuova casa. E non mi manca niente.
Tranne la mia agenda, senza la quale sarei persa. La mia catenina, con due ciondoli: chiave di sol, e un’iconcina del liceo di mia madre “One of a kind”.
Il mio rimmel, per non essere perennemente allo stato brado, (cresciuta con 3 fratelli maschi le “cose di femmina” mi appartengono poco, ma mi impegno). Una “lira” dei primi del novecento, regalatami da una vecchia zia, sempre nel mio portafogli. E un bracciale fatto con gomma di pneumatico da un giovane artista che decise di regalarmelo prima del mio primo concerto a Roma, appena trasferita
Metto su due dischi: Songs of Leonard Cohen e Synchronicity;
Quali sono le tue influenze sonore?
quali sono gli artisti con cui sei cresciuta e come ti sei avvicinata
per la prima volta alla musica e, perché hai deciso d’inserire
nel disco due brani cover da questi dischi?
rifatte tra l’altro in una chiave di lettura fantastica…
Sono una ragazza fortunata: mio padre è un pianista, per ventanni abbiamo avuto anche un negozio di strumenti musicali, che per la piccola Gubbio era un po’ un centro di ritrovo di tutti i musicisti e appassionati. Ho iniziato a studiare pianoforte a 3 anni con la giapponese Setzuko Murata, e dopo 10 anni iniziato a cantare per gioco, dopo aver vestito i panni di Cindy Lauper in “We are the world” al saggio di terza media. Ho ascoltato la musica più diversa sin dalla nascita, e mio padre ci ha sempre portati a concerti anche quando eravamo molto piccoli.
Tanto jazz, e poi interpreti o autori incredibili come Stevie Wonder, Rod Stewart, George Michael (e gli Wham), Creedence Clearwater Revival, Sting (e molto più avanti i Police, in un percorso stranamente a ritroso), Battisti e i Beach Boys a macchinetta per tutte le scuole medie, e poi crescendo Jamiroquai, Quintorigo e tanti altri. Ma mi sento di citare questi. Stranamente, noto solamente nomi maschili. Un caso o non saprei cos’altro supporre. Le cover in “Colors” sono 2 e sono due tributi molto specifici. Il primo a Leonard Cohen, autore, cantante (e anche bestseller) canadese, paese da cui provengo per metà. Il Canada è una parte fondamentale di me, della mia cultura, del mio immaginario.
Ho trascorso 3 mesi quasi ogni anno durante infanzia e adolescenza a casa di mia nonna, “abbandonando” molte volte, senza rammarico, le estati italiane per starmene in mezzo ai laghi e ai boschi, a parlare inglese (lingua che mia madre mi ha insegnato prima dell’italiano) e ad assistere ad un mondo che in alcune cose ci precedeva di alcuni anni. Il tributo era d’obbligo, con questa “signora dell’inverno” (Winter Lady) che nel brano, dopo la mia esposizione in inglese, un magnifico Andrea Satta interpreta con voce che tocca corde profonde, in una sua personale traduzione in italiano. Magia pura. Nel brano mio fratello suona un sitar indiano. Il tributo a Sting invece è per un solo motivo: per Sting.
Quest’estate era a Roma e non sono riuscita a comprarmi il biglietto. Non sarei riuscita a stargli così vicino.
Non ti stanca mai, non ha mai cantato ho fatto qualcosa di “sbagliato”, o diciamo di minimamente criticabile. Non mi ha mai deluso insomma.
E’ incredibile, e per molti anni io e mio fratello abbiamo interpretato suoi brani in duo acustico.
Il tributo era d’obbligo.
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