A tribute to Gram Parsons

5 Dicembre, 2014

parsons piccolaNasceva 68 anni fa, il diciannove settembre sono giusto  40 anni che ha abbandonato la dimensione terrena.
Non ricordo di preciso dov’è che lessi il suo nome – lessi e non sentii, di questo ne sono certo. Dev’essere stato, quasi sicuramente, mentre scorrevo le pagine di qualche biografia degli Stones.
GRAM PARSONS!
Un nome di per sé già cosmico, immediatamente accattivante e musicale. Come quello di Elvis Presley, di Jim Morrison e di Bob Dylan… Uno di quei nomi che basta pronunciarli e subito ti viene in mente l’America: le sue strade polverose, Las Vegas o la California, il whisky e le montagne rocciose – ed una Cadillac nera, che fende il vespro purpureo d’una sera di luglio tra le paludi della Lousiana!

GRAM PARSONS!
Un nome, un programma.
Ecco forse perché mi sono sempre chiesto perplesso, cosa invece di tanto fascinoso riuscisse ad evocare il nome di GIANLUCA CAPOZZI, cantante molto seguito dai miei coetanei ai tempi, proprio quando questa storia ebbe inizio.

Nel 1999 avevo 16 anni e spesso la mattina, invece d’andare a scuola, mi trovavo con alcuni amici.
Avevamo un iter prestabilito: lo spaccio d’erba a Secondigliano, i Mc Chicken a via Scarlatti e poi il negozio di dischi alla Galleria Vanvitelli (adesso lo spaccio è presidiato dalle forze dell’ordine, il Mc Donald ha chiuso ed al posto del negozio di dischi c’è una filiale di Eldo… ma questa è n’altra storia…)

Lì presi il disco Sleepless Nights.

Aaaah, GRAM PARSONS!

Ci provo in poche parole, più succintamente possibile.
Statemi a sentire.

Nel ’56 assistette, da qualche parte in Georgia, ad un concerto di Elvis Presly e decise seduta stante che lui nella vita avrebbe fatto il musicista.

Iniziò nei sessanta, suonando nelle fila dell’International Submarine band.
L’estro compositivo di Parsons, ancora un po’acerbo e ancorato alla tradizione folk, è comunque in grado di regalarci brani di indiscutibile spessore che ne anticipano la virata di qualche anno a venire. (Luxury liner, Do You Know How It Feels to Be Lonesome)

Ebbe quindi, tra i tanti meriti, quello di inventare il country rock ed oggi per questo – purtroppo da pochissimi, specie in Italia – viene principalmente ricordato. Il che è tanto e poco allo stesso tempo.

Le comode etichette raramente rendono giustizia a pieno. Gram Parsons fu certamente molto di più.

Vero che c’era stato l’illustre precedente del “capo dei capi”, Bob Dylan, che in piena epoca di lisergica psichedelia parve voler suggerire a tutti di darsi una calmata con l’album, dalla marcata vena countrieggiante, John Wesley Harding.

Ma Parsons fu sicuramente il primo a farlo con coscienza e consapevolezza.

Aveva le idee così chiare sulla strada da intraprendere che entrato nei Byrds di Roger McGuinn e Chriss Hillman, ne influenzò radicalmente le scelte e le tendenze.
Sweetheart of the Rodeo esce nell’agosto del ’68. È il manifesto del nascente movimento country rock. Senza di lui il progetto di McGuinn si sarebbe risolto in una musicata epopea della storia americana.

Parsons virò con decisione sul country, quello autentico e viscerale, quello di Bob Wills, Merle Haggard ed Hank Williams, coinvolgendo col suo talento ed il suo carisma tutti i membri dei Byrds – che di certo non era l’ultima band arrivata…

Addirittura pretese, e fu ascoltato, di spostare le registrazioni da Los Angeles a Nashville, la patria del genere!

Non vi assillerò col track by track, non la finiremo più.
M’affido alla comoda etichetta: uno dei migliori album rock di sempre!

Lascia i Byrds, che torneranno al rock classico, e trascina con sé il bassista Chriss Hillman, per dare voce alla sua vocazione squisitamente country col progetto dei Flying Burrito Brothers. 

Il country rock di Parsons, seppur a tratti accenna qualche elemento di gospel, qualche altro di rock ed è sempre imbevuto di rhythm’n’blues, è, geneticamente, il figlio primogenito dell’opera dei summenzionati maestri: George Jones, Haggard, Waylong Jenning e, in qualche misura, anche dell’outlaw country di Johnny Cash.

Eppure, è nelle liriche la radicale rivoluzione.
I topos del“blues dell’uomo bianco” – definizione alternativa di country – della musica dei redneck, morbosamente occupati a raccontare storie di omicidi e galera, di rapine in banca, di bevute e di baldracche all’ honky tonk, di “quant’è bella la nostra America” – detto, a volte, accentuando anche un malcelato razzismo – lasciano spazio, o si integrano intelligentemente, ad una visione più urgentemente attuale dell’ universo a stelle e strisce.
La renitenza alla leva (My Uncle), il movimento hippy (Hippie Boy).
Certo, l’attenzione resta costante anche verso i temi più caratteristici (Sin City, Juanita, il tema del viaggio in Wheels); ma l’impressione è quella di avere a che fare con una nuova visione della faccenda, in grado di allargarne gli orizzonti e le prospettive.
Cosmic American Music. Così, lo stesso Parsons, la definiva.

Risale a questo periodo la frequentazione con gli Stones.
Stringerà una forte amicizia con Mick e Keith (col secondo molto più che col primo), conosciuti a Londra nel ’68.
Conquista la stima e il rispetto del duo rock n° 1e si avvia anche una latente collaborazione. Ma gli Stones dell’epoca sono una banda traviante e pericolosissima: Parsons ne esce con la “scimmia sulla schiena”.

E tuttavia non avremo mai goduto di quella gemma che è Wild Horses e di altri pezzi, meno conosciuti al grande pubblico ma non per questo meno rilevanti, come Dead Flowers, Sweet Virginia e Torn&Frayed, se Richards non avesse fatto sua la lezione country, jammando, tra una pera e l’altra, col suo nuovo amico.


Di passata, segnaliamo la sua partecipazione con i Burritos al Festival di Altamont, 6 dicembre 69. L’unico raggio di sole in una tragicagiornata.

Allontanato dai Burritos per i crescenti ed ingombranti problemi di droga, Parsons non si perde d’animo ed i successivi due album solisti – GP e Graviuos Angel , ma sono 3, considerando anche il postumo Sleepless Nights composto prevalentemente da cover – rappresentano probabilmente quanto di meglio abbia fatto.

La critica d’oltreoceano s’è talvolta attardata a discutere, tra i tre, quale fosse il migliore e perché.
Per me sono tutti validissimi.
Un Parsons maturo e più introverso canta, suona e compone melodie che spianeranno la strada a gente che appena qualche anno più tardi, seguendo la scia e l’intuizione dei lavori di Gram, venderà milioni di copie in tutto il mondo (Eagles, America e Neil Young, su tutti.)

È questo l’aspetto della questione che ai più sfugge del tutto, aldilà della roboante definizione de “l’inventore del country rock”.

Si avvale, in questi anni, del contribuito di Emmylou Harris e dei musicisti che accompagnavano Elvis in tour.

La solitudine esistenziale, la travagliata biografia (madre morta alcolizzata durante la sua adolescenza e il rapporto controverso col padre adottivo), le avventure da play boy e da tossico decadente dalla voce d’angelo, affiorano nei suoi testi e nella sua musica.

Il cantato assomiglia al suono di una slide e la sua voce comunica estasi e dolore, imperturbabilità e compassione, legando insieme i diversi fili della tradizionale musica americana.

La morte sopraggiungerà all’età di 26 anni, per un’azzardata miscela di tequila e morfina. Neanche il tempo d’entrare nel club dei 27!

L’episodio della salma trafugata al suo funerale da Phil Kaufman, fidato amico e roadie manager, viene annoverato a pieno merito nell’epica rock: come la chitarra di Hendrix che brucia, l’uccello di Morrison al Dinner Key Auditorium di Miami o l’arresto dei Rolling Stones a Redlands.

Non ve lo racconto qui. Se sono riuscito a solleticare la vostra curiosità, cercatevelo da voi.

Pigmalione di Emmylou Harris, che gli deve praticamente tutto.
Capostipite di un’intera generazione di menestrelli ed autori americani.
Influenza determinante nel suond degli Stones.
Mentore ed imprescindibile punto di riferimento del country revival degli anni novanta, da Shania Twain a Dwight Yoakam (Che sciagurato! Gli ha rubato tutto!!!)

E poi ci sono i suoi album. Nessuno escluso.
Perché, proprio come tutti i grandi del rock dalle carriere fulminee ed intensissime, semplicemente, non ebbe il tempo di sbagliare. Nulla!

In un’epoca in cui non solo le band e i vari musicisti, ma anche i loro messaggi, paiono studiati e freddamente scritti a tavolino, l’esperienza di Gram Parsons manca tanto, tantissimo;
e rimane, a distanza di tanti anni, il nord della bussola per tutti coloro che, aldilà della musica country, desiderino provare a dire la loro. Con Temerarietà, Anima e Palle!

Tra le mie innumerevoli debolezze spicca una in particolare: ho la presunzione, grande, di capirne di Musica. Di quella che conta, intendo.
E allora, se vi va, seguite un consiglio:
ascoltatela la Musica.

Ascoltate il grande Gram Parsons!


Gram Parsons Tribute

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