A volte ritorno

8 Dicembre, 2014

Ammettetelo: avete un problema di percezione del tempo, laggiù. Come diceva un mio vecchio amico, il noto filosofo Rustin “Rust” Cohle: «time is a flat circle». L’andamento rettilineo è fuorviante, insincero, insicuro. Non veritiero, soprattutto. Prendete me: io non dovrei essere nemmeno qui a parlarvi; cioè, guardate la foto qui sopra: ho abbandonato le scene nel 1901; eppure secondo i vostri canoni ho uno stile talmente hip, che sembro uscito da una cena con Gipi. Insomma, a quanto pare, anche io a volte ritorno; e non solo in quanto principio o funzione. Ne discutevo proprio ieri col figlio del Grande Capo, il mio buon amico J.C.:

«E ti lamenti? Io sono costretto a nascere ogni 25 dicembre, caro mio; e non è neanche il fastidio maggiore quello: quanto piuttosto il numero delle volte che mi tocca morire; e in quel modo poi. Ma dico io, che gli passa per testa? Un modo più umano non lo potevano trovare? Che poi ‘sta storia della sofferenza come fondamento della condizione umana è una balla grossa quanto una casa…».

«Ma davvero?» gli faccio io.

«Leggi qua. Se la nota storia fosse stata raccontata come io e mio padre la pensiamo davvero, funzionerebbe esattamente così. Cioè, il finale è sempre di merda: ma almeno i principi di base sono quelli che vedi messi in pratica qui intorno», dice; e vuota il suo bel bicchiere di Bushmills.

978880620922GRACosì, mi trovo tra le mani un libretto strano: sgualcito e macchiato, con sulla copertina quella che sembra una stereotipata versione della faccia di J.C.; e resti di erba triturata. J.C., intanto, s’è attaccato al telefono. Mi allarga un bel sorriso dei suoi e «Leggi, leggi..», mi fa, «mi tocca andare un attimo in amministrazione…». Si alza e si allontana. Io affondo gli occhi nelle pagine. Prima di tutto l’autore: John “the revelator” Niven, un lealista scozzese. Come quell’altro famoso bestseller, l’Apocalisse dell’ apostolo Giovanni, anche questo sembra essere un gran bel libro di fantascienza distopica: un libro profetico, credo si sarebbe detto un tempo. Solo che, proprio come suggeriva J.C., il Giovanni moderno lascia a casa le minacce di dannazione eterna, e fa un ritratto più ispirato e fedele di come la pensano i capi. Diciamocela tutta: J.C. e suo Padre sono persone più alla mano di come la loro stessa propaganda li ha descritti. Un gigantesco errore di marketing: troppi divieti. troppe regole, troppa serietà. Succede, quando pensi che affidarti ai profeti sia meglio che parlare per bocca, che so, di Joe Strummer. Così, è normale che le cose vadano a puttane: il Grande Capo se ne va in vacanza per una settimana – qualche secoluccio del tempo terrestre – lasciando il mondo in pieno Rinascimento; e quando torna su, si ritrova il casino che c’è oggi. Immagino come gli siano girate: anzi, non ho bisogno di immaginarlo perché il buon John dice chiaramente che era da un po’ che c’erano dubbi su alcuni collaboratori:

 «Quand’è che le cose hanno cominciato ad andare a puttane? Colpa di Mosè, forse. Quel falsario. Uno dei primi a cedere al protagonismo. Quando era arrivato in cima al Sinai e aveva messo gli occhi su quell’unica tavola perfettamente cesellata – le parole «FATE I BRAVI» incise nell’elegante corsivo inglese di Dio – aveva dato fuori di matto. Tutto quel can can e lui doveva, cosa?, scendere e dire: «Ehi ragazzi, fate i bravi! Be’, non c’è altro. In bocca al lupo per tutto»? Col cazzo. E cosí quel figlio di mignotta si era messo sotto con lo scalpello. Quaranta sudati giorni di lavoro su quella sequela di minchiate. Quella stronzata del «Non desiderare la donna d’altri»? Tipico di Mosè. (Quante pedate nel culo s’era beccato quand’era arrivato qui? Dio gli aveva assestato la prima appena quel coglione aveva varcato la soglia, e aveva smesso solo nei Secoli Bui: almeno un centinaio d’anni. Alla fine ci aveva le chiappe che sembravano due barbabietole bollite). Poi di male in peggio. L’interpretazione. La fiera del «Io-credo-di-sapere-cosa-voleva-dire- Dio». Sbadabum: un millennio dopo qualche sciroccato taglia la gola ai neonati e se li getta alle spalle perché crede di avere Dio dalla sua parte. Cosa cazzo c’era da interpretare in «FATE I BRAVI»? La stessa, identica domanda che Dio aveva ripetuto per secoli, mentre prendeva a pedate Mosè. In ogni caso, ormai la frittata è fatta, pensa Dio con un sospiro, mentre si rende conto della piega che stanno prendendo i Suoi pensieri. Qualcuno avrebbe dovuto rispiegare al genere umano cosa significa «FATE I BRAVI».

Ora mi spiego il perché Mosè non si faccia più vedere tanto in giro. Così il Grande Capo ci prova per secoli a correggere questa stortura; e le prova davvero tutte: buffoni, predicatori, musicisti; cazzo, perfino qualche criminale. Qualche anno fa, s’è addirittura incarnato in George Carlin, per provare a smontare quel cumulo di stronzate, ma senza successo. Ecco le prove:

 

A ‘sto punto è necessario che qualcuno torni giù. Ovvio che tocchi a J.C. Ora io lo conosco bene, J.C.: non gli piace troppo lavorare: è più un tipo da festa o da concerto. Comunque, taglio corto: dopo qualche inutile tentativo di resistenza, è costretto a scendere per davvero. Il problema è che non sa fare un cazzo, se non strimpellare la chitarra: e a questo mondo, se non sei nessuno, nessuno ti sta a sentire. Soprattutto se il tuo messaggio è «FATE I BRAVI». Il ragazzo però un dono sembra averlo: una forte empatia che sfocia nel carisma: abilità mica da ridere in tempo di reality show. Così, finisce in uno di quegli orrendi reality musicali: diventa amico di Morgan e litiga con Mika. Successo, applausi: il messaggio diventa virale. Un «FATE I BRAVI» formato mondovisione galoppa per l’etere. Ovviamente le autorità trovano da ridire: gli stavano sulle palle Lennon e Marley, figurati uno che s’atteggia come Gesù Cristo…punk-rock-jesus-cover «Woo, woo, basta ragazzo! Non t’azzardare a fare spoiler sul finale! Falli leggere un po’ quei pigroni là sotto….». «Ehi, ma questa è davvero roba da non credere, J.C. …», dico. «Vero? E pensa che in un punto dell’universo è pure successo. Cioè esiste una dimensione in cui i testi sacri sono la vulgata del vangelo secondo Niven… E non sai quanto a me e al Grande Capo piaccia questa idea… Sto davvero pensando di sostituire i quattro, noiosi, tradizionali vangeli con nuovi racconti della mia venuta». «Nuovi racconti? Tipo?». «Beh», J.C. sorride «Johnny-boy qui merita. Poi ci sarebbe quest’altra versione, che fa scompisciare mio Padre: cioè già il titolo: «Punk Rock Jesus!», e mi tende un altro volumetto, a fumetti stavolta, con in copertina un punk che strilla in un microfono. «Merda, di nuovo il telefono», fa. «Dagli un’occhiata, mi raccomando. E dimmi cosa ne pensi. Considera che da qualche parte, in un qualche tempo, la storia potrebbe essere davvero andata così…», e si allontana, farfugliando di America, disordini razziali e della difficoltà di far passare un messaggio semplice come «FATE I BRAVI». Intanto la filodiffusione passa “Charlie don’t surf” dei The Clash. Leggo il nome del nuovo evangelista: Sean Murphy. Punk rock Jesus. Apro il volumetto e gli pianto gli occhi dentro. Abbiate pazienza: inumidisco la gola secca e vi racconto pure questa.


 

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