I Choose a Legend: Pete “Pistol” Maravich

27 Novembre, 2014

Jerry West was the best I ever played with.
And Pete is the best I’ve ever seen.” – 
Elgin Baylor


tumblr_m0rbllexeA1qi99ico1_500“He was showtime before showtime”, per descrivere Pete Maravich non si può non partire da questa affermazione fatta dal maggiore esponente dello Showtime gialloviola degli anni 80, ovvero Magic Johnson.Nato nel 1947 ad Aliquippa, Pennsylvania, il piccolo Pete viene subito indirizzato verso il basket. Figura determinante nella sua vita è il padre Press, ex giocatore ed ora allenatore, che riesce ad allenare il figlio durante tutta la sua infanzia fino agli del college ad LSU.
Momento chiave fu quando aveva 7 anni. Il padre andò da lui e gli disse: ”Pete, se tu mi darai ascolto potresti essere in grado di ottenere una borsa di studio nel basket perchè noi non possiamo pagartela, e forse non solo otterrai una borsa di studio ma potresti diventare pro e giocare in una squadra che vinca il titolo, e guadagnare un milione di dollari giocando a basket e forse potresti avere un grande anello di diamanti col tuo nome inciso sopra e la scritta world champions, se mi permetti di insegnarti dovrai solo impegnarti e dedicare la tua vita al basket questa è l’unica cosa che dovrai fare e vivrai il resto della tua vita felice”. Gli occhi del piccolo Pete si illuminarono, da allora si dedicò anima e corpo al basket diventando un basketball android. A sostegno di questa tesi tante sono le storie riguardo ad un giovanissimo Pete: c’è chi racconta di Pete che palleggiava al di fuori del finestrino di una macchina che andava a 30 km/h, c’è chi dice che all’età di 11 anni segnò 500 tiri liberi consecutivi, si dice addirittura che al cinema durante la visione di un film sceglieva sempre le corsie laterali così che potesse palleggiare e migliorare sempre più il suo ball-handling. Una sola cosa è certa, si sottoponeva a lunghi allenamenti e per fare in modo che il suo interesse per il gioco fosse sempre alto, il padre Press gli faceva fare strani esercizi come tiri da dietro la schiena, ganci da metà campo o lo faceva palleggiare andando in bici, tutti esercizi che non facevano altro che migliorare sempre più il suo gioco. Ed è da giovane che si guadagnerà il soprannome Pistol che lo accompagnerà per tutta la sua carriera, nickname basato sulla sua tecnica di tiro, infatti il caricamento del suo tiro partiva molto basso vicino all’anca e questo ricordava molto un pistolero quando estrae la pistola dalla fondina.


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Il diciannovenne Maravich cominciò a farsi notare nel 1966, quando decise di seguire il padre ad LSU dove era da poco diventato allenatore. Le regole dell’epoca però proibivano ai rookies di giocare nella squadra principale dell’università . Nonostante ciò, riesce lo stesso a far parlare di se, infatti in quella stagione Pete segna quasi 50 punti a partita con la squadra delle matricole, che gioca prima di quella varsity, ed il pubblico dopo aver assistito alle sue performance, se ne torna a casa e non rimane alle partite dei titolari. Nei 3 anni seguenti Pete riesce ad infrangere tutti i record realizzativi a livello collegiale: segna 44.2 punti a partita, supera i 50 ben 28 volte e ne realizza 69 contro Alabama nel 1970, anno in cui vince il Naismith Award, nello stesso anno batte il record di punti NCAA che apparteneva a Oscar Robertson.


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Nel draft del 1970 Atlanta lo sceglie con la terza scelta assoluta, facendogli firmare il più ricco contratto mai offerto ad un collegiale, 1.9 milioni di dollari.Il suoi primi anni non furono mai semplici, il suo stile di gioco non era ben visto dai suoi compagni di squadra che mal sopportavano questo ragazzo bianco che attirava tutte le attenzioni su di lui. Nonostante ciò Maravich riuscì a fare ciò che gli riusciva meglio: intrattenere il pubblico. Con il suo stile di gioco fatto di passaggi no-look, dietro la schiena o sotto le gambe riuscì ad attirare l’attenzione del pubblico e delle tv sull’NBA. A quei tempi l’NBA non era l’oasi dorata che è oggi, le tv non seguivano le partite, non si investiva nel basket. Per fortuna nel panorama cestistico arrivò Maravich che riuscì ad attirare l’attenzione di tutti in questo gioco facendo la fortuna non solo della sua franchigia, portando sempre più spettatori alle partite, ma della NBA stessa, che otteneva sempre più visibilità.


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 Dopo 4 anni aridi di successi ad Atlanta, Maravich passa alla neonata franchigia degli New Orleans Jazz, che per averlo mandano ad Atlanta mezza squadra, perché ritenevano che potesse aiutarli a livello economico attirando il pubblico al palazzo grazie alle sue incredibili giocate. Come era facile immaginare, ai Jazz non riesce a vincere niente, ma a livello di gioco passa i suoi migliori anni: nel 1977 vince la classifica realizzatori con 31.1 punti di media a partita e realizza 68 punti contro New York. La cosa incredibile è che in quegli anni non esisteva il tiro da 3 (verrà introdotta solo nel suo ultimo anno da pro)La sua carriera viene costellata purtroppo da alcuni infortuni al ginocchio, dal quale non riesce mai veramente a recuperare del tutto.


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Finirà la sua carriera con un ultimo anno ai Celtics di un giovane Larry Bird, provando a vincere quell’anello che sognava da quando aveva 7 anni. Purtroppo Boston perse in finale con i Lakers ed un appena 32enne Pete con un ginocchio a pezzi decide di ritirarsi. Nel 1987 viene introdotto nella Hall of Fame all’età di 39 anni, divenendo il più giovane giocatore ad ottenere tale onore. Nel 1988 durante una partita tra amici muore, l’autopsia mostrerà un difetto congenito al cuore, non aveva l’arteria coronarica sinistra, fatto che dimostra ancora di più la straordinaria carriera che ha intrapreso, riuscire a giocare a così alto livello per 10 anni con un tale difetto è strabiliante. Durante un’intervista a 25 anni rilasciò le seguenti parole: ”I don’t want to play 10 years in the NBA and then die of a heart attack at 40”. Ironia della sorte, è proprio quello che successe. Nonostante la sua prematura morte, la sua eredità è viva e vegeta. Pistol Pete era avanti anni luce rispetto ai suoi compagni ed avversari del tempo, ancora oggi non c’è nessun giocatore al mondo che abbia le sue abilità di ball handling. Quando vedremo un ragazzino con i capelli arruffati ed i calzettoni che gli calano mentre tira un pallone su un campetto avvolto nella semioscurità o nel cortile di casa quando tutti gli altri sono già andati via, ci ricorderemo di Pete.


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