Intervista agli organizzatori del TOdays Festival – Torino 26 -27 -28 agosto 2016
14 Luglio, 2016 A poco più di un mese dalla seconda edizione del TOdays Festival
di Torino ho avuto la possibilità ed il piacere di intervistare Gianluca Gozzi.
Todays è festival giovane, ma ambizioso che cresce a vista d’occhio.
La clamorosa line-up alterna emergenti stelle italiane a leggende internazionali,
dà vita ad un evento all’altezza dei migliori festival d’Europa e vanta
le uniche date italiane di The Jesus And Mary Chain, M83, Goat, Crystal Fighters e Local Natives.
Il sold-out è dietro l’angolo.
Ciao Gianluca, innanzitutto complimenti per quello che state riuscendo a fare.
Il TOdays Festival è solo alla seconda edizione ma
già può vantare una scaletta degna dei migliori
festival europei ed essere considerato tra i migliori festival italiani del 2016.
Come ha preso vita questa manifestazione?
Grazie a Voi per l’augurio! TOdays nasce fondamentalmente dalla voglia di creare non solo un semplice festival cittadino di fine estate o una sequenza di eventi, ma un ambiente divertente dove incontrarsi e dove incontrare altre persone, fuori dai giri normalmente battuti.
Quando crei un evento come un festival ci sono tre modi per farlo:
1) fare quello che ti piace;
2) fare qualcosa che generi tensioni artistiche e sociali;
3) fare solo quello che funziona.
Il terzo punto non ci interessa molto e non è mai stata comunque la nostra priorità.
I primi due sì.
In Italia si cerca di mettere insieme il secondo ed il terzo punto, arrivando però quasi sempre in ritardo su entrambi e quindi, alla fine, ci si riduce a fare quello che ci piace o che è semplicemente disponibile in quel periodo dell’anno, spacciandosi per chi sta facendo qualcosa che invece delinea una tensione creativa. Capita così che spesso quello che viene ostentato come cultura, in realtà è solo intrattenimento.
Per noi invece un festival è qualcosa di diverso: portare ad un pubblico eterogeneo una varietà di attitudini e musiche trasversali che difficilmente potrebbero vedere tutte insieme.
Abbiamo voluto che ce ne fosse per ogni gusto ed abbiamo voluto mescolarli per rappresentare quello che c’è e per come esso è, senza ostinarsi ad inseguire quel che sarà o rimpiangere ciò che è stato.
Perché avete voluto dar spazio non solo alla
musica attraverso il festival vero e proprio , ma anche ad altro tramite una manifestazione
parallela ed interna all’evento?
Mi riferisco la TO_lab, progetto dedicato
alla formazione e all’innovazione realizzato con il contributo della Compagnia di San Paolo.
In un vero festival crediamo sia fondamentale cercare di coinvolgere il più possibile e a tempo pieno il pubblico, offrendo anche momenti di incontro che non siano solamente concerti. Per questa ragione, già dalla prima edizione, abbiamo pensato di invitare opinion maker, artisti, start-upper e nuovi player del mercato musicale con l’obiettivo di organizzare tre giornate di incontri, workshop, laboratori creativi e speech dedicati sia a chi la musica la fa che a chi la ascolta.
E’ così che nasce To_lab, cercando di percorrere
strade innovative muovendosi trasversalmente e senza preconcetti
fra i differenti linguaggi dell’arte e della creatività.
Gli affascinanti spazi della Galleria d’Arte Gagliardi e Domke, dove un tempo sorgevano acciaierie di proprietà della Fiat, ospiteranno un programma di appuntamenti gratuiti che toccano vari temi: dall’esplorazione alle altrettante fasi del ciclo di vita di un prodotto musicale; dal viaggio nel mondo digitale e analogico della musica, ai nuovi sistemi di gestione e piattaforme digitali on demand; dalla social innovation al tramonto dei monopoli di copyright; dai nuovi modelli di business in ambito musicale ad una sfida tra team che permetta a chiunque di sviluppare la propria idea innovativa in musica; dalla jam musicale tramite tecnologia Ableton fino alla realizzazione di un videogioco interattivo.
To_lab non è stato e non sarà solo una sezione “off” del festival, naturalmente è un inizio, probabilmente neppure così “usuale” in Italia, ma rappresenta un’occasione preziosa per vivere da protagonisti nuove e curiose esperienze in questo ideale percorso spaziale e temporale che abbiamo definito festival e permettere di immergersi pienamente nei tre giorni di un flusso collettivo.
Come è stata la risposta delle istituzioni locali e dell’amministrazione cittadina?
In genere, organizzare questi eventi,
non è mai facile e spesso può capitare che ci siano mille difficoltà da dover fronteggiare,
soprattutto a livello burocratico, che ostacolano l’organizzazione di un festival,
in Italia più che nel resto del continente.
Il festival è organizzato dalla Città di Torino attraverso l’ente istituzionale Fondazione Per la Cultura, ma anziché calare dall’alto un evento di questo tipo con una modalità aliena troppo spesso omologata e normalizzata, l’Amministrazione locale ha avuto il coraggio di riconoscere e coinvolgere molte giovani realtà locali attive sul territorio e che consideriamo delle eccellenze: dal Reset Festival attento ai giovani musicisti; al Varvara Festival, giovane realtà attenta alle musiche non allineate.
Tutte le location coinvolte, dalla ex fabbrica Incet a sPAZIO211, sono stati soggetti attivi in grado di contribuire alla genesi del progetto investendo proprie idee e risorse economiche anziché limitarsi ad essere contenitori vuoti adatti solo ad ospitare qualcosa di esterno.
Questa è l’idea che è alla base del festival: fare di una parte della città, la sua periferia Nord, lo scenario unico del festival, un palcoscenico urbano fatto di spazi riconvertiti e costruirci attorno l`evento che diviene epicentro valorizzato e valorizzante in una modalità realmente partecipata.
La periferia della città è animata da una passione pura che, seppur caotica, rappresenta la Torino underground da sempre, e spesso il degrado di luoghi abbandonati e dismessi crea il terreno fertile per una rappresentazione di quella tensione creativa che unisce e fa sentire a casa i tanti che dalle case popolari periferiche intorno vorrebbero forse fuggire.
Ci sono luoghi molto belli, persone capaci e sufficientemente visionarie; quel che serve è non aver paura del presente e attivare modalità differenti che costituiscano dei vantaggi e non dei limiti, pensare a un festival e ai suoi luoghi come un’opportunità e non un problema.
Purtroppo in Italia non c’è questa cultura e le difficoltà sono inevitabilmente moltissime e spesso è facile demoralizzarsi scontrandosi contro un Sistema che arriva troppo tardi a comprendere quello che succede nel momento in cui sta succedendo, compromesso in un sistema vizioso dell’apparire anziché essere, del vincere facile stile gratta e vinci.
Noi però anziché trascorrere il presente recriminando su ciò che non c’è o non c’è più, cerchiamo ogni giorno di capire cosa manca e avere il coraggio di farlo, altrimenti la musica in questa città sarebbe diversa, peggiore, rispetto a come è.
Questo crediamo sia il significato che questo genere di festival può lasciare, affinchè la parola “concerto” continui ad esistere nei dizionari delle nuove generazioni.
“La line-up del festival sfida gli stili più prevedibili e i luoghi comuni più inflazionati.”
E’ in questo modo che definite la direzione artistica della manifestazione.
Come effettuate le scelte artistiche?
Abbiamo cercato di rappresentare la musica che ci piace, privilegiando la qualità, la freschezza, le novità e costruendo un senso che andasse oltre la semplice line-up, soprattutto cercando di portare buona musica ad un pubblico il più trasversale possibile, spesso non abituato a fare ricerca in tal senso. Per noi un festival è un qualcosa in cui far scoprire alla gente cosa c’è fuori, robe nuove, strane, forti, non necessariamente rassicuranti, ma roba che fa bene, e farlo proponendo una varietà di attitudini e musiche diverse che difficilmente si possono vedere tutte insieme nel quotidiano. Dai The Jesus And Mary Chain agli M83, dai Goat a I Cani, non musica alla moda, ma neppure per snob, dai suoni allucinogeni di The Brian Jonestown Massacre a quelli taglienti del maestro John Carpenter, dal linguaggio sperimentale di Teho Teardo e Elio Germano alle musiche amiche di Motta e Iosonouncane, insomma dal rock’n’roll alla sperimentazione elettronica, dalla melodia alle cavalcate post-apocalittiche.
Questo perché oggi, nella realtà musicale attuale, per fortuna non ci sono più limiti tra chi ascolta elettronica, chi ascolta chitarre, chi ascolta computer music, l’unico “confine” dovrebbe essere quello tra la buona musica e la cattiva musica.
Il criterio che abbiamo impiegato è stato perciò quello di offrire spazio alla musica italiana e straniera di qualità ed originale, con una attenzione alle scene musicali attuali sia locali che internazionali, e in questo senso TODAYS è un festival “europeo” dove qualità e novità si fondono senza chiudere fuori nessun “genere” musicale e scommettendo sul fatto che la gente abbia curiosità e apertura mentale maggiore di quello che a volte noi pensiamo.
Non un festival monotematico che si rivolge solo ad un pubblico settario e “esclusivo”, bensì qualcosa di pop-olare nel senso più “inclusivo” e esteso possibile, perchè ancor prima che scegliere un artista per noi è importante l’idea di festival in quanto tale.
C’è un festival, italiano o straniero,
a cui vi siete ispirati e che in qualche modo ha influenzato
l’organizzazione del vostro festival? Per quali aspetti?
Non crediamo che esista un “modello” giusto o sbagliato al quale ispirarsi, semplicemente esiste un proprio modo di fare le cose.
Quando abbiamo immaginato come costruire il festival abbiamo cercato di non imitare schemi pre-esistenti creando un surrogato di altre realtà italiane o straniere, così, anzichè fare l’errore di replicare in maniera inevitabilmente più sbiadita ciò che avviene altrove, abbiamo scelto di realizzare la nostra idea.
La scena artistica e musicale soffre spesso di nostalgia del passato, perché il passato ha dalla sua parte l’essere qualcosa di avvenuto e quindi già consolidato e più rassicurante, ed è sicuramente più facile rimanere appagati replicando ciò che è stato e continuando a vivere il presente come un qualcosa che in realtà non è altro che una coda del passato, anziché osare altro che non sia l’ovvietà.
Anzichè creare un clone ci siamo lasciati ispirare e influenzare semplicemente dall’eredità delle esperienze artistiche contemporanee che hanno fatto della nostra città un punto di riferimento nazionale in grado di dialogare e competere con realtà internazionali, in un contesto differente dagli altri ambiti cittadini preesitenti, abbiamo cercato di non incastarci nell’idea di un format, ma di valorizzare quello spirito creativo troppe volte soffocato dal canone dell’ufficialità polverosa.
In questo senso ci piace pensare a TOdays come un festival coraggioso e forse ambizioso, sicuramente di respiro europeo.
Invece cos’è che sin dall’inizio avete voluto
evitare che ci fosse o che accadesse nel vostro festival?
Innanzitutto abbiamo cercato di evitare che fosse un festival non divertente. In estate tanti giovani italiani partecipano a festival stranieri, e lo fanno soprattutto perché si divertono, immergendosi in un’atmosfera unica, non solo musicale, dove incontrarsi ed incontrare altre persone, fuori dai soliti giri. Ecco, ci piace pensare che molti di quelli che evidentemente sentono la mancanza di questo tipo di attitudine nel panorama dei concerti estivi in Italia e che perciò si lamentano, anche con ragione, recriminando su ciò che non c’è e su come vanno le cose e come invece dovrebbero andare, scelgano di venire e vivere a pieno Todays divertendosi, e non solo come una sequenza di alcuni artisti “grandi”, ignorando tutto il resto…
L’italia è il paese delle rassegne, più che dei festival, perciò quello che dall’inizio abbiamo voluto evitare accadesse è che la gente partecipasse solo in base ai nomi scelti in line-up, anziché immergersi pienamente nel vivere tre intere giornate di tante cose, musicali ma anche non musicali, all’insegna dell’arte e del divertimento, così che tornando a casa uno non pensasse solamente “sono andato a vedere il concerto di John Carpenter piuttosto che gli M83”, ma “sono andato al festival Todays”.
Il mercato discografico attuale si serve soprattutto dei talent show
per sfornare nuovi artisti che andranno
a soddisfare la domanda di un pubblico
che principalmente ascolta musica commerciale, da classifica.
Quest’anno però abbiamo assistito, in Italia,
alla scalata delle classifiche da parte di artisti
proveniente dall’indie come I Cani e Calcutta,
entrambi compresi nella line-up del TOdays Festival.
Un festival come il vostro quanto è utile e
quanto fa bene a questa fetta del mercato discografico,
ai suoi artisti e fruitori?
Rispetto ad altri paesi europei l’Italia ha un alto numero di artisti nazionali da classifica sui quali è tuttora concentrato l’interesse di gran parte del pubblico italiano medio adulto e che detengono la maggior della quota di mercato sia live che discografica (per quel che rimane di quest’ultima).
Per mantenere grandi numeri molti festival italiani storici, in passato, hanno dovuto piegarsi a dinamiche commerciali, inserendo puntualmente in cartellone artisti nazional popolari come il Vasco Rossi di turno, che non sono accostabili in alcun modo e forma con artisti del resto del mondo. Grazie alla diffusione social-web della discografia, negli ultimi anni stiamo invece assistendo ad un cambiamento nei gusti e nei consumi culturali-musicali del nostro Paese, e la discografia major nel senso tradizionale sta (fortunatamente) cambiando, rivelando una difficoltà nel mantenersi sul mercato fatta eccezione appunto per i fuoriusciti dai talent show e le rapstar che invadono il mercato discografico.
La scalata delle classifiche di artisti italiani con Calcutta e I Cani, piuttosto che Motta o Iosonouncane rivelano, secondo me, che un modo diverso di produrre-suonare-spingere la musica di qualità in Italia è finalmente possibile, anche grazie al fatto che i social, Spotify e Youtube hanno scardinato molti dei passaggi un tempo nelle mani delle case discografiche, oltre che incidere in maniera rapida e virale sul gusto musicale del pubblico più giovane (e non solo) che va oltre i “grandi successi” imposti dai network radiofonici e televisivi tradizionali.
Questi artisti italiani sono capaci di raccontare con le giuste parole e le giuste melodie, storie universali, generazionali e autentiche, descrivendo la contemporaneità e rendendo condivisibile il proprio vissuto emozionale: chiunque avrà fatto sue alcune delle canzoni de I Cani o Calcutta o Motta, proprio perché hanno la straordinaria capacità di comunicare con tutti.
Ma anziché troppe ospitate televisive patinate o featuring tattici parliamo di artisti che hanno costruito nel tempo una credibilità live, suonando a perdifiato in tutta Italia e costruendosi una fanbase solida e costante che oggi riempie (finalmente) i locali e i festival.
In questo senso i festival come TOdays, che provano a tracciare un percorso Italia-Mondo offrendo visibilità ad artisti veri e di talento, crediamo possano fare bene soprattutto se non parliamo solo di fruizione e puro intrattenimento ma di produzione culturale.
In Italia si tende a pensare che tutti hanno talento e per questo tutti hanno diritto di suonare: vero! Ma non tutti necessariamente su un palco. Quello che è utile alla musica in Italia è il coraggio di scegliere e proporre produzioni attuali e buona musica senza piegarsi a logiche troppo commerciali di musica alla saccarina.
Qual è l’aneddoto che ricordate
con maggior piacere della scorsa edizioni?
Ti riveliamo una verità: solitamente tra urgenze last second, problematiche da backstage, siae, biglietterie e timing, chi organizza questo genere di eventi difficilmente ha poi il tempo di riuscire a vedere le band sul palco, anche solo per pochi minuti.
L’aneddoto più curioso della prima edizione riguarda Alberto dei Verdena che distrusse la sua chitarra Fender Jaguar il giorno precedente al festival e chiese tramite Facebook una chitarrra “in prestito” ai fan torinesi, che naturalmente non esitarono a presentarsi numerosi durante il soundcheck. Ho ancora da qualche parte a casa le chiavette spaccate della sua Fender. Magari un giorno…
La serata o l’artista di quest’anno che NON si può
perdere per nessuna ragione al mondo?
Non voglio mettervi in difficoltà, ma se doveste proprio scegliere?
Come ti abbiamo detto speriamo che il pubblico si lasci incuriosire e stupire da ciò che non conosce (ancora), e che dopo aver scoperto possa fieramente pensare “fortuna che non me lo sono perso!”. Personalmente vi consigliamo di non mancare domenica 28 agosto per lasciarsi contagiare tra i ritmi ipnotici dei GOAT e l’annientamento di ogni steccato stilistico dei Brian Jonestown Massacre.
In bocca al lupo per il TOdays Festival 2016. Su
A New Hope Webzine, tra qualche giorno, pubblicheremo degli articoli con cui presenteremo nel dettaglio quest’edizione del festival e gli artisti scritturati .
Vi saluto con un’ultima domanda: quali sono i propositi che avete per il futuro?
Grazie! Per il momento speriamo che un domani, tra quaranta anni, in pieno futuro post-industriale, post-crisi, post-bellico, ci sarà ancora un palco, anzi più palchi, e la voglia di riempirli, in modo che anziché rimpiangere quello che non c’è più, si possa continuare a desiderare ciò che verrà.
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