PASS THE POPCORN // BOUND FOR GLORY (1977).
25 Novembre, 2015«Ricordo la notte in cui scrisse la canzone “Tom Joad”.
Mi disse: «Pete, sai dove posso trovare una macchina da scrivere?».
Gli risposi: «Ehi… io vivo con un tizio che ne ha una!».
«Bene, devo scrivere una ballad», disse.
«Sai, di solito non scrivo ballads su commissione, ma Victor mi ha chiesto un intero album di Dust Bowl songs, e me ne vuole una che parli di Tom Joad… Sai il personaggio di Steinbeck, quello di Furore».
Detto ciò, Woody ,che aveva con sé una brocca di vino da mezzo gallone, si sedette e iniziò a battere furiosamente sui tasti. S’alzava, ricordo, con una certa frequenza, per provare un verso accompagnandosi con la chitarra; quindi tornava a sedersi e ne buttava giù qualche altro. Dopo circa un’ora, io e il compagno di stanza ci appisolammo profondamente. La mattina, al risveglio, trovammo Woody rannicchiato sul pavimento, sotto al tavolo; la brocca di vino quasi vuota, e la ballad finita a fianco della macchina da scrivere, in bella mostra.
Ed è uno dei suoi capolavori».
Pete Seeger, The Incompleat Folksinger (1972).
La musica, si sa, ha i suoi miti e le sue mitologie.
In una di queste saghe, si racconta di un principe dei menestrelli che, venuto a conoscenza quasi per caso, dalla radio di un taxi su cui stava viaggiando, della imminente morte del re dei menestrelli, si fa immediatamente portare in ospedale, per fargli visita ed omaggiarlo.
La storia continua con una sorta di passaggio di consegne silenzioso, con il principe dei menestrelli che veglia per tutta la notte il re, insieme ad altri sudditi, fino alla sua morte.
La città era New York.
L’anno il 1967.
Il re dei menestrelli, Woodie Guthrie.
Il principe, Robert Allen Zimmerman, Mr. Bob Dylan.
Come ogni mito mescola menzogna e verità.
Come ogni racconto di una vita ha parti ingigantite e parti rimpicciolite.
Come ogni vita è in parte vissuto in parte percezione altrui.
Stasera vi raccontiamo la storia di Woodie Guthrie, il re dei menestrelli. Mettevi comodi. Andiamo a cominciare…
«Woody è semplicemente Woody. Migliaia di persone non sanno neppure che abbia un nome: per molti lui è semplicemente la sua voce e la sua chitarra. Canta le storie della gente perché, credo, lui faccia parte di quella gente. Voce stridula e nasale, con la chitarra che spunta di traverso come il raggio sfasciato di una ruota arrugginita, trovo che Woody non appaia per nulla rassicurante; e non sono rassicuranti neppure le sue canzoni. Ma al loro interno, c’è qualcosa di più importante per chi le ascolta: la volontà del popolo di resistere e combattere contro l’oppressione. Credo che possiamo ben definirlo Spirito americano, questo. Quello vero».
John Steinbeck, citato in Woody Guthrie: A Life (1981) di Joe Klein.
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