TRACK(S) OF THE DAY // Forgotten Ones: Mudhoney (’89 – ’13)

30 Marzo, 2016

 La partita è iniziata così: «Ok, dimmi tre pezzi dei Mudhoney». Segue silenzio. Una porta sbatte. Una persona – io, il vostro Gaetano d’ordinanza – che esce dalla stanza, percorre qualche metro, apre il balcone, esce sul terrazzo e inizia ad urlare al cielo.

Poi rientro. «Ho trovato la Track(s) per domani», faccio, soddisfatto.

Eh sì, perché nella vita bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare: e non parlo solo delle proverbiali trentatré pugnalate. L’anno scorso stavano tutti a festeggiare il ventennale di Nevermind dei Nirvana: e poi hanno dimenticato i Mudhoney. Tutti a esaltare il nuovo disco dei Pearl Jam: ehi ragazzi, Jeff Ament e Stone Gossard, prima di essere – per voi – al servizio del principe Vedder, erano parte integrante dei Green River e poi, indovinate di chi? Dei Mudhoney, ovviamente. Perché il termine grunge, nasce durante un loro tour londinese, sebbene c’abbiano sempre riso, su quella definizione. Perché sono state tra le prime band di successo di una piccola etichetta indipendente di Seattle, la Sub Pop, che ormai è un colosso e una delle pietre portanti della scena rock americana.

Per questi, e per altri mille motivi che non sto qui ad elencare, oggi li sputo fuori io tre pezzi dei Mudhoney.

TOUCH ME, I’M SICK (1988)

Il primo singolo è sempre una dichiarazione di intenti. Ecco le basi del nuovo sound di Seattle: affilato, rumoroso, sporco. Radici ben salde nel punk, nel garage rock, nel noise. Iggy, i Ramones, i Sonic Youth, le stelle polari. Sotto pelle, l’inchiostro nero delle note dei più assordanti Velvet Underground.


″ Wow
I won’t live long, and I’m full of rot
Gonna give you girl everything I got
Touch me, I’m sick, yeah
Touch me, I’m sick ″


SUCK YOU DRY (1992)

Cambio di etichetta. Periodo alla Reprise Records. Non il più celebrato dalla critica; ma assolutamente devastante nella realizzazione musicale. Qui l’influsso dei The Stooges è più evidente che mai: chitarre compresse, muro di suono; e, ci fosse stato qualche fraseggio blues in più, avrei gridato il nome di Josh Homme. Ma non è stile Mudhoney: è gente che va dritta al dunque questa, come un diretto alla mascella che ti fa finire al tappeto, faccia in avanti.


″Come a little closer
Before I slide over
Come on, I want you burn
Come a little closer
Before I take you over
Come now, watch me burn″


I LIKE IT SMALL (2013)

Cinquant’anni e non sentirli. Eccoli tornare dopo cinque anni di silenzio. L’etichetta è ancora una volta la Sub Pop. Il suono, la solita scarica elettrica devastante. Roba da friggere orecchie e cervello. Roba da far saltare le valvole cardiache. Roba da sfasciare le casse.


 

″Don t you swear the little things
I like to try to sweep them in
I keep em tucked, in my fist
What they might be, you can only guess
And when I show my hand
You will finally understand
That I’ve got big enough balls
To admit I like it small″



 

 

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