U don’t know this Legend! – Roberto Luongo –
9 Gennaio, 2015Un lupo irpino a guardia della porta del Canada.
Vancouver, 28 febbraio 2010. Immaginate di ritrovarvi improvvisamente a difesa di una porta in un mare di ghiaccio circondato da urla, luci, bandiere, maglie e sciarpe rosse. Immaginate, poi, di guardare questo mondo dietro una grata di metallo che ricopre il vostro volto, bardato di tutto punto, nel tentativo di arrestare la corsa di un disco di plastica dura che può schizzare fino a 100 km/h. Le squadre fanno il loro ingresso sul ghiaccio. Dall’altro lato cinque cavalieri affamati di vittoria tenteranno di violare il vostro regno tra sterzate improvvise, spallate e colpi di mazza. La posta in palio è altissima, ci si gioca l’olimpiade, il tetto del mondo… e ce lo si gioca in casa. E quando giochi in casa sei condannato a vincere. Qualsiasi altro esito è fuori discussione e la pressione può giocare bruttissimi scherzi (per delucidazioni chiedere a Thiago Silva e soci…). A maggior ragione se l’avversario si chiama Stati Uniti d’America, il rivale di tutto, il rivale di sempre che da anni prova a scipparti lo scettro di regina di questa fantastica disciplina sportiva. Come se non bastassero queste premesse, vuole rubartelo proprio dentro casa tua. E’ molto probabile che abbiate capito di che sport si tratti e di che storia ci accingiamo a raccontare. Ma sono altrettanto certo che non mi credereste mai se vi dicessi che questa storia ambientata in una fredda serata canadese è cominciata a pochi passi da noi, sulle colline irpine. Davanti ad un casolare di campagna il cui ingresso sporge direttamente su una strada provinciale di nuova costruzione, ogni tanto fa capolino un trattore, ogni tanto passa una Fiat 500 bianca. Un cartello reca la scritta “Santa Paolina”. I fari dell’auto incontrano lo sguardo perplesso di un giovane che, seduto su una panca di pietra, attende con un valigione in mano. Direzione Canada o, meglio, Canadà, come si diceva all’epoca scimmiottando un po’ di francese. Dritto dritto a Montreal, verso un futuro incerto, lontani dalla propria terra che poteva offrire poco o nulla oltre i paesaggi mozzafiato (una cantilena ancora molto di moda in Irpinia). E’ lecito pensare che il buon Antonio Luongo da Santa Paolina non capisse nulla di hockey su ghiaccio. Eppure il destino ha voluto che suo figlio nascesse e crescesse nella terra nel la quale aveva riposto tutte le sue speranze. Il primogenito Roberto gioca in porta, ha già 17 anni e la chiamata dei New York Islanders non tarda ad arrivare. Quarta scelta del draft 1997 per questo ragazzone dai tratti tipicamente italici.
Probabilmente entrando in campo Roberto avrà, per un solo momento, ripensato alla sua famiglia, alle sue origini, alla sua doppia identità, a quella sua terra d’origine conosciuta soltanto attraverso i racconti dei genitori. Il Canada, si sa, non può perdere. Ed effettivamente la partita si mette subito in discesa. I suoi compagni aggrediscono subito la porta avversaria difesa da Miller ed arrivano due goals. Ci pensano Toews e Perry ad anticipare la festa. La medaglia d’oro non vuole spostarsi da Vancouver, sembra camminare su una sicura strada di montagna in una foresta coperta di tradizionali foglie d’acero, il simbolo del Canada presente anche sulla sua bandiera. In un attimo di distrazione Roberto avrà pregustato il sapore della vittoria che sognava da bambino, la sua mente avrà vagato rimembrando la sua carriera: scaricato dagli Islanders, sono i Florida Panthers a puntare su di lui, la neonata franchigia voluta dal creatore di Blockbuster Video. Su una spiaggia di Sunrise, all’ombra di una palma Roberto trova, paradossalmente, la sua strada per sfondare sul ghiaccio: 318 presenze in sei anni gli valgono la chiamata di una franchigia canadese, i mitici Vancouver Canucks, di cui diviene uno dei simboli. Il grande hockey è alle porte e Roberto sa di poter diventare un eroe nel suo paese. Proprio nella “sua” Rogers Arena, la finale dei Giochi olimpici invernali di Hockey su ghiaccio sembra mettersi per il meglio. Fin troppo per essere vero. All’ inizio della seconda frazione Kesler devia sotto porta un tiro ben calibrato. Il puck passa tra il gomito e il guanto di un incredulo Roberto Luongo che tenta maldestramente di evitare che il disco oltrepassi la linea di porta. Canada 2 – Usa 1. Ora è sofferenza fine alla fine. Gli americani attaccano furiosamente alla ricerca del pareggio, è proprio Roberto a salvare la porta e le speranze di tutta una nazione fino a 25 secondi al termine dell’incontro, quando le paure di 34 milioni di canadesi si materializzano nella maniera più crudele: Zach Parise pareggia i conti approfittando di una respinta corta del nostro eroe di sangue irpino. Il Canada è ammutolito, si va ai supplementari.
La beffa sta per materializzarsi. Zio Sam sta per fare il colpo che vale una vita. Roberto è silenzioso negli spogliatoi, come tutti i suoi compagni. Sono sicuro che baratterebbe volentieri tutti i trofei vinti coi Canucks pur di uscire indenne da questa serata stregata. Ed ecco che nel suo silenzio comincia a pregare. L’olimpiade l’aveva cominciata da riserva del leggendario Martin Brodeur, trovatosi in panchina dopo una brutta prestazione. Luongo intuisce che quella è la sua occasione, non se la lascia scappare, entra a difesa della porta del suo paese e non ne esce più. E’ protagonista nei quarti di finale vinti contro la temibile Russia e in semifinale, contro la Slovacchia, proietta il suo paese ad un passo dalla vittoria finale. Non può mollare proprio ora, non può mollare per la sua famiglia e per la sua terra. Proprio mentre pensa questo, il buon Dio decide di sorridere al Canada: Jerome Iginla, impegnato in un fore-check (marcatura) vede con la coda dell’occhio un puntino bianco-rosso schizzare verso la porta e confeziona un assist favoloso: il puntino bianco è un ragazzino prodigio, il fantastico 22enne Sidney Crosby che, con la freddezza di un killer, approfitta di una disattenzione della difesa statunitense e, nell’incredulità generale, disegna una traiettoria che da distanza ravvicinata indirizza il puck sotto le gambe di Miller, insaccando il goal del definitivo 3 a 2. Per gli Stati Uniti è sudden death, una morte improvvisa e letale, l’equivalente del nostro golden goal, per intenderci. L’ arena esplode in un tripudio di colori e urla, i maxischermi in tutto il paese proiettano i festeggiamenti dei canadesi che travolgono Crosby, l’uomo della provvidenza. Il Canada è in tilt. Il paese libera tutta la sua passione. Gli americani sono affranti, dopo il pareggio non sapevano di aver esaurito il loro credito con la buona sorte. La telecamera si posa su un Roberto Luongo dagli occhi sgranati, ebri di gioia. Il padre Antonio dalle tribune piange e ripensa alla fine di questa storia iniziata su quella panchina di pietra. Il Canada è vincitore dei giochi. Per vedere un’altra medaglia d’oro Roberto dovrà aspettare le olimpiadi di Sochi del 2014, ma questa è un’altra storia… Molto probabilmente in pochi di voi lo sapranno, ma Avellino, sportivamente parlando, non è mai arrivata così in alto come il 28 febbraio del 2010 grazie alle parate formidabili di un nostro conterraneo (34 in totale) e… ad un vero colpo da maestri firmato Iginla-Crosby!
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