What’s in my Soul // Alin Coen @Godot, Av. (29/03)

31 Marzo, 2015

Non sopporto la gente che chiacchiera durante i concerti. Eppure domenica, per la prima volta, ho sorriso sentendo alcune persone mormorare: “Ehi, ha qualcosa di Bjork”; “Questa canzone mi rimanda a Joni Mitchell”. Sorridevo con complicità: io avevo avuto il piacere di conoscerla Alin Coen, poco prima dell’esibizione. Di farci quattro chiacchiere, di riderci insieme. Di parlare con lei dei dischi che l’hanno influenzata. E di scoprire, così, che anche lei, come me, non sa bene coda s’intende col concetto di “influenza“: «Io la intendo come qualcosa che mi ha toccato nel profondo, mi ha fatto sentire qualcosa», ha detto a un certo punto. Non potevo essere più d’accordo. Ed ecco saltare fuori tre dischi importanti. E indovinate un po’? C’è Bjork, con lo splendido Debut del 1993, «un album di cui mi sono innamorata così tanto da sentirlo ogni giorno, la prima volta che mi succedeva con qualcosa di classificabile come pop music». C’è Joni Mitchell e il suo Blue del 1970, la cui musica sembra far centro ogni volta, infilarsi sotto la pelle e stringere un po’ crudelmente il cuore. Joni Mitchell con le sue liriche – melanconiche, vitali, sofferenti, esplosive -; Joni Mitchell di fianco, come un angelo custode, con la sua faccia blu e “blue”, nella foto che abbiamo preso davanti alla libreria-bazar del Godot Art Bistrot. Poi c’è il disco che le ha cambiato la vita; c’è Aretha di Aretha Franklin.

JONI-MITCHELL-BLUEjddddd11087834_10fdfs205175383802330_473633203_oQui la storia si complica, ma si fa anche più interessante; c’entra la biografia, i ricordi personali, non solo il gusto musicale: ricordi di un viaggio in India, quattro brani di Aretha su una musicassetta, e l’imperativo di dover scrivere canzoni, di voler fare musica. Di voler condividere il proprio universo, di voler far circolare l’energia, come in un abbraccio universale. Di creare qualcosa che costruisca, che unisca, che possa curare, invece di distruggere: «mi piacciono le cose che sono create senza distruggere la vita altrui. Mi piacciono gli oggetti che mostrano la creatività di chi li ha realizzati: come quel libro» – e indica un pop-up di Hansel e Gretel in un riquadro della libreria-bazar -, «quando lo ho aperto e le figure sono saltate fuori è stato fantastico. In realtà, mi servirebbe almeno una settimana per scoprire e assorbire tutti questi oggetti: io sono proprio così, un po’ caotica!». E così scivoliamo su altri argomenti: Dancer in the Dark e Lars Von Trier («mi ci sono voluti cinque gironi per riprendermi dopo averlo visto, ero distrutta!»); la musica nei film («la mia musica la vedrei bene in uno di quei film in cui la sfera melanconica è molto forte, anche se non ho un titolo preciso in mente: i film hanno tutti già la propria colonna sonora, quindi non mi domando spesso come ci starebbe la mia, di musica»); e ancora la poesia, l’amore per le intense lettere d’amore di Rilke e per i testi di Joni Mitchell.


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photo by Vincenzo Moccia.

È quando parliamo di oggetti speciali, rituali e superstizioni di artista, che Alin, ridendo, ci confessa di essere innamorata degli alberi: la sorprende il modo in cui da un piccolo seme possa nascere qualcosa di così grande, di così forte. È una perfetta metafora della sua musica: apparentemente semplice, minimale, quasi fragile. Poi, invece, la riscopri forte e robusta, coinvolgente e stratificata. Emotiva, a tratti irrazionale: come un abbraccio prolungato. «Credo che sia importante prima di salire sul palco prendersi un momento per noi: stringersi in cerchio e ululare, urlare o fare qualcosa che ci tenga uniti». Così, quando l’ultima nota ha smesso di vibrare nell’aria, spegnendosi naturalmente, impastandosi col silenzio, nell’attimo prima che le mani iniziassero a scontrarsi, a pagare il giusto tributo al talento, ecco, in quel preciso istante ho ripensato a tutto questo: al sorriso di Alin, ai suoi occhi verdi, a come arricciava la fronte mentre cercava una risposta alle domande. E mi è sembrato che tutti, nella sala, condividessero quelle immagini. O forse, era stata brava lei, Alin dico, a toccare le corde giuste. Ad “influenzarci”.


video by Massimo Caserta.


 


 more photo by Carmine Marrano

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