You talkin’ to me? Who The fuck do you think you’re talking to? // …A TOYS ORCHESTRA
15 Novembre, 2015Lo scorso 17 Ottobre al Meet Eventi di Atripalda si sono esibiti gli A Toys Orchestra, band di Agropoli formata da Enzo Moretto, Ilaria D’Angelis, Raffaele Benevento, Andrea Perillo e Julian Barrett.
Noi di A New Hope Webzine ovviamente c’eravamo e prima del concerto abbiamo scambiato
quattro chiacchiere con il frontman della band
– Enzo Moretto – tra le più rappresentative della scena indipendente italiana.
Ciao Enzo, rompiamo il ghiaccio con la
prima domanda e ti chiedo subito
qual è il percorso che porta
alla nascita di un vostro brano e se c’è qualche
aneddoto riferito alla genesi di un vostro
album o pezzo che ricordi con piacere.
• I pezzi, la maggior parte delle volte, nascono nella mia stanza, sono io a scrivere musica e testi, di solito al pianoforte. Prima, in questa fase mi servivo della chitarra, ma ormai sono 10 anni che utilizzo il piano nella fase compositiva. Viene fuori quasi sempre prima la musica, accompagnata da una linea vocale che può essere anche solo una frase, la quale non sempre ha un senso compiuto ma anche solo una sua musicalità, sulla quale ci costruisco l’intero testo. Dopodiché mi confronto con il resto del gruppo per capire insieme come meglio sviluppare l’idea che precedentemente ho avuto. Il primo aneddoto che mi viene in mente è legato al nostro ultimo album in studio Butterfly Effect (Urtovox/Ala Bianca – 2014).
• Le canzoni, come già ti ho detto, sono nate al pianoforte e alle note poi ho aggiunto l’accompagnamento vocale. Una volta registrati i pezzi in questa forma così “scarna” li ho incisi una seconda volta servendomi di Electribe, uno strumento forse più consono ad un Dj che ad un gruppo indie. In questo modo avevo a mia disposizione la versione acustica e quella per così dire “dance”, elettronica.
Entrambe le versioni le ho fatte ascoltare agli altri e solo in questo modo siamo riusciti a capire quale veste dare allo specifico pezzo in questione.
Quanto ha influito Berlino sull’ultimo disco?
L’ultimo album è stato registro nella capitale
tedesca e visto che hai piacevolmente introdotto
nella conversazione l’argomento “elettronica”
non posso fare a meno che chiederti di quella
che ormai è diventata la capitale delle arti elettroniche.
• All’inizio può sembrare che una città non può influenzare il tuo modo di scrivere e di dare alla luce un album, invece è esattamente l’opposto. Può capitare che lo studio di registrazione venga concepito solo come quattro mura che non fanno altro che isolarti dal mondo, ma non è questo il caso.
L’energia di Berlino e la sua vitalità hanno influenzato, e non poco, il nostro ultimo disco.
Lo studio in cui abbiamo registrato e lo staff che ci lavora non aveva mai collaborato con artisti italiani. Ciò, per forza di cose, ha fatto sì che uscissimo dal nostro “orticello” nel quale ormai ci muoviamo in maniera disinvolta, sicura e ci siamo così calati in un mondo differente.
Il nostro produttore era australiano e lavorare con lui ci ha fatto crescere molto a livello professionale. Berlino poi non c’è neanche il bisogno di presentarla, ho avuto la fortuna di viverci per due mesi ed è stata un’esperienza di vita incredibile.
Inciderete mai un
album interamente
in italiano?
• Bella domanda e sinceramente non so risponderti. Ti spiego meglio: le mie creazioni non sono mai troppo ponderate, ragionare troppo su quello che sto per fare potrebbe snaturarlo. Sceglierò di servirmi dell’italiano solo quando questa opzione sarà naturale, quando riterrò che la nostra lingua sarà quella che meglio può rappresentare una nostra produzione. La scelta ovviamente non sarà mai dettata dalla moda del momento o da questioni di business. Attualmente sarebbe una forzatura.
A quale/i film collegheresti la tua musica?
Quale opera cinematografica
potrebbe includere
nella colonna sonora un vostro pezzo?
Sicuramente Magnolia, film del 1999 del regista Paul Thomas Anderson, allucinatissimo! Vedrei proprio bene la nostra musica su quel film.
Credo ci siano delle assonanze tra
la vostra musica e quella degli Arcade Fire,
che ne pensi? E visto che poco fa stavamo
parlando di cinema
hai visto Arcade Fire: The Reflektor Tapes?
Gli Arcade Fire mi piacciono molto, li ho visti diverse volte dal vivo e questo accostamento tra la nostra musica e la loro mi lusinga soprattutto se a dirlo sono gli altri, tuttavia, se di somiglianze si può parlare certamente non sono volute, sarebbe “delittuoso”, ma è del tutto normale ed inevitabile che gli artisti possano influenzarsi a vicenda. Il film non l’ho ancora visto, ma prima o poi lo farò.
Che rapporto hai con
le altre forme d’arte?
Tutto quello che è arte mi provoca delle emozioni, mi colpisce e soprattutto per uno come me che cerca di comunicare attraverso l’arte è inevitabile essere attratto ed influenzato dal cinema, dalla fotografia o dalle altre visive. Ultimamente mi sono appassionato alle opere di uno street artist italiano, Eron, di Rimini che nella vita di tutti i giorni si chiama Davide Salvadei. Sta realizzando qualcosa di incredibile sfruttando in maniera davvero originale il mondo che lo circonda.
C’è qualche vostro concerto
che ricordi in maniera
particolare e perché?
Facciamo così tanti concerti che finiscono per somigliarsi, ma posso dirti anche l’esatto opposto.
Ogni concerto è una storia a parte che può essere raccontata attraverso le persone che l’hanno vissuta, dalla location e il modo in cui noi interagiamo con questi. Sono tanti gli aneddoti che potrei raccontarti, ma non abbiamo il tempo a sufficienza per parlarne.
Però ricordo con orgoglio la prima parte di questo tour in cui abbiamo deciso di portare durante i nostri live uno spettacolo di luci interamente ideato da noi.
Era uno spettacolo molto diverso da quello a cui assisterete questa sera perché noi artisti eravamo quasi completamente al buio, il pubblico poteva vedere solo le nostre sagome grazie a dei proiettori posti alle nostre spalle. E’ stata una delle note più positive di questa serie di concerti e da qualche tempo non ce ne stiamo più servendo, ma non è detto che non lo proporremo ancora per le prossime date.
Sulle pagine di A New Hope Webzine
curiamo una rubrica che si chiama
Track Of The Day.
Ci consigli un vostro brano.
C’è un pezzo a cui tengo in maniera particolare, non è il più radiofonico, ma ci sono particolarmente legato. Si chiama My Heroes Are All Dead ed è una delle mie canzoni preferite.
Chi sono i tuoi eroi che non ci sono più?
Non ti faccio un nome in particolare perché credo che questa sia un’epoca orfana di eroi e che non riesce a partorirne di nuovi. Credo che in parte sia dovuto alle possibilità e alla velocità con cui si può diventar celebri in questo mondo dominato dalla rete, ma con la stessa rapidità con cui hai conseguito il momento di gloria verrai dimenticato. Comunque gli eroi a cui mi riferisco preferisco non dirli, se spiegassi il testo perderebbe il suo potenziale onirico, la suggestione che crea nell’ascoltatore. Preferisco che ognuno abbia la sua personale interpretazione del pezzo anche se non manca una mia precisa idea in merito.
Manuel Agnelli volle inserire un vostro brano,
What You Said, nella compilation Il Paese è Reale.
Nella stessa compilation è presente
l’omonimo brano degli Afterhours
con il quale hanno partecipato al Festival di Sanremo.
Voi c’avete mai pensato
Sinceramente no. E’ dovuto soprattutto al fatto che i nostri testi sono in inglese e ormai sono 12 anni che componiamo in questo modo. Quella di Sanremo poi è una realtà troppo lontana dalla nostra. Dovremmo scrivere una canzone ad hoc per l’occasione e non so se questo mai accadrà. Capisco e ritengo giusto il tentativo fatto dagli Afterhours, hanno cercato di proporsi ad un pubblico che non è proprio quello della musica indipendente. Non sono tra quelli che hanno puntato il dito contro Agnelli & Co. nel 2009, rispetto la loro scelta, mi è piaciuto il pezzo e l’azzardo, ma non so se mai noi vi prenderemo parte.
Ultima domanda e poi ci salutiamo.
Quali sono gli artisti o gli album
che quest’anno ti hanno più colpito?
Io ascolto veramente di tutto, ma molto meno che in passato. Prima riuscivo a sbranarmi 100 dischi in un anno, attualmente ne ascolto 6/7 ma in questo modo riesco ad approfondire meglio l’artista in questione. Comunque ti faccio quattro nomi: Sohn con Tremors, At Least For Now di Benjamin Clementine, Nils Frahm ed infine Trentemøller e la sua elettronica che si è spogliata dalla glacialità della macchina.
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