You talkin’ to me? Who The fuck do you think you’re talking to? //…Adriano Viterbini
10 Dicembre, 2015a Cura di Gabriele Troisi
Stasera al Teatro Quirinetta di Roma presenterà per la prima volta dal vivo il suo ultimo lavoro solista uscito per “Bomba Dischi” dal titolo: Film |O| Sound.
Noi di #anhw siamo riusciti a fare una chiacchierata telefonica con uno dei chitarristi più talentuosi in circolazione (tra l’altro voce e chitarra dei Bud Spencer Blues Explosion). Due mani, dieci dita e uno slide.
Signore e signori: Adriano Viterbini!
Partendo subito dal tuo secondo e ultimo disco appena uscito,
Film|O| Sound, quello che ho subito notato rispetto all’esordio Goldfoil
è che mentre quest’ultimo poteva essere la colonna sonora ideale di un viaggio,
Film|O| Sound potrebbe essere, per l’appunto, quella di un film.
Ci puoi dire il tuo punto di vista su cos’è cambiato tra i due dischi?
•• Beh sì, sicuramente questo disco rispetto al primo è più elaborato, convivono più mondi in un solo disco.
C’era l’esigenza di fare una piccola evoluzione rispetto a quello che avevo fatto qualche anno fa.
Questo disco è stata una buona via di mezzo tra una cosa pensata, ragionata, e una cosa spontanea.
E in questo lavoro quanto c’è del produttore
Marco Fasolo dei Jennifer Gentle?
•• C’è tantissimo perché i suoni e la produzione hanno fatto la differenza nella fruizione di questo disco.
La sua sapienza tecnica, il saper utilizzare dei suoni piuttosto che altri, hanno reso l’ascolto sicuramente diverso rispetto a quello del primo disco.
È stata una scelta necessaria, quella di circondarsi delle persone giuste con cui confrontarsi.
Ma è stato anche un tuo percorso personale di crescita
quello che ti ha portato a registrare un disco come Film |O| Sound?
Mi spiego meglio. Ti vedo come una “spugna”:
riesci ad assorbire qualsiasi influenza
di qualsiasi artista dei tanti con cui collabori e a scegliere
cosa trattenere per il tuo suono.
Il tuo nuovo disco è anche il risultato di tutto questo?
•• Ma guarda, io proprio in generale penso che questo mio lavoro di musicista, il suonare, la musica…la vedo come una cosa sacra. Per cui, quando ho l’opportunità di condividere un palco e di collaborare con altri musicisti, mi sembra doveroso essere curioso e cercare di elaborare qualcosa per suonare non solo per me ma anche per gli altri, anche per chi sta suonando con me in quel momento.
Quindi per te la musica è condivisione?
Sì, sì, assolutamente.
Dicci un po’ qualcosa del film o sound,
l’amplificatore che hai utilizzato per questo disco.
In cosa ti ha dato quel qualcosa
in più e qual è la sua caratteristica?
•• Una caratteristica è che un amplificatore che oggi si trova a buon mercato su eBay. Costa poco ma è di altissima qualità perché ha un suono molto trasparente, ideale per suonare lo slide, molto comodo. Un suono veramente pulito, non molto colorato, che mi aiuta ad esprimermi bene, come quando parli una lingua che conosci bene: mi ci trovo molto a mio agio. E poi l’idea di doverlo (ri)costruire in famiglia, con papà , mi sembrava affascinante.
“Playing guitar is like telling the truth”,
“When I sing, I play in my mind; the minute I stop singing orally,
I start to sing by playing Lucille”,
“I tried to connect my singing voice to my guitar and my guitar to my singing voice.
Like the two was talking to one another”
diceva B.B. King.
Quanto c’è di tutto questo nel tuo percorso da solista visto
che i tuoi due album sono strumentali
(fatta eccezione per la cover di “Bring it on home”
di Sam Cooke con Alberto Ferrari dei Verdena alla voce)?
•• Guarda, al momento onestamente è una cosa che sto ancora cercando, però suonando la chitarra sento di poter esprimere un’energia spontanea che mi fa star bene. Mi sento sincero e cerco di esserlo il più possibile.
Possiamo dire che il tuo percorso da solista è proprio il cercare
di avvicinarti sempre di più a quella sincerità che
possa farti arrivare al punto in cui la chitarra sarà davvero la tua voce?
Bravissimo. È proprio una ricerca che deve piano piano portarmi a questa cosa, ma in modo molto naturale. Quando sto a casa, studio, sono molto interessato a qualsiasi dettaglio; poi quando suono su un palco tendo a dimenticarmi di tutte quelle cose e a suonare proprio come se fossi un’antenna, libero di esprimermi.
Quanto cerchi di arrivare pronto in studio e cosa cambia
nella scrittura e nella preparazione alle sessioni di
registrazione fra un progetto come i BSBE e il lavoro da solista?
•• Diciamo che cerco di arrivare pronto il necessario, il giusto per poter essere poi anche aperto a delle soluzioni che lo studio di registrazione riserva.
Però in generale ritengo importante avere le idee chiare su qual è il risultato da raggiungere: questo mi sembra fondamentale.
In partenza, quando nello scrivere o nell’arrangiare un brano c’è quella energia che ti fa stare bene, significa che quella è la strada giusta. Poi ad esempio nel caso nostro lo studio di registrazione l’abbiamo sempre dovuto pagare, per cui quei 20 giorni di registrazioni devono essere ottimizzati e quindi è sempre bene arrivarci con le idee molto chiare per poi poter dare il massimo e fare il lavoro migliore che si possa fare.
Nel lavoro da solista sai che c’è? Io sono una persona molto disordinata, un po’ confusionaria, e da solo mi permetto il lusso di vivere la cosa con più suspense; arrivo in studio e so che il brano potrebbe anche prendere altre derive.
Solitamente però mi porto sempre un libricino dove mi appunto tutta una serie di cose e generalmente ho sempre abbastanza chiara l’idea che voglio realizzare.
Parlando degli ospiti presenti nel tuo nuovo disco,
quanto sono state preparate questo ospitate?
Come sono nate queste collaborazioni?
•• Ti dico come ha funzionato: il disco non è un disco con gli ospiti. Sostanzialmente in questi tre anni ogni volta che tornavo a casa dopo un tour con i Bud mi mettevo a suonare, ma proprio per necessità, con altri musicisti. Per esempio con Fabio Rondanini (batterista di Calibro 35 e, dopo l’addio di Giorgio Prette, Afterhours, ndr) si faceva la musica africana e ci si diceva: “Oh, da paura! Vediamoci in sala prove e facciamoci delle suonate”. Poi magari qualche volta mi chiamava Bombino per suonare e io andavo a suonare con lui; con Alberto ci sentivamo perché ci piaceva, che ne so, Bacharach e allora parlavamo di quelle robe lì. Ramon l’ho conosciuto l’anno scorso: è un musicista cubano e ci siamo incontrati sul palco suonando con Gazzè, Silvestri e Niccolò Fabi. Insomma sono state tutte cose molto spontanee e naturali.
Bombino, per dire, è venuto un giorno in studio, ci siamo visti là, lui si è fatto un tè e ci siamo fatti una suonata.
(E il risultato è “Welcome Ada”, ndr)
Ti ho sempre visto come un “artigiano” dello strumento,
nell’approccio sonoro, sempre attento ai suoni acustici, “veri”.
In futuro saresti interessato a contaminare questa tua
attitudine con suoni elettronici, sintetici?
•• No guarda, in realtà per ora la mia idea è quella di trarre ispirazione dalle cose semplici, più che dalle innovazioni, proprio per una mia visione personale. Mi piace molto l’idea di fondere, collaborare ecc. ma per quanto riguarda la mia di ricerca, l’attenzione è rivolta più verso le cose immediate. Per me le cose importanti sono le idee: un disco è innovativo, secondo me, non soltanto per il sintetizzatore che è stato usato, ma soprattutto per l’idea che sta alla base. È importantissimo l’utilizzo che si fa dei musicisti che suonano, “compongono” una canzone, come se fosse un quadro e quei musicisti ne fossero i colori.
Curiosità personale: ma li conosci i maliani Songhoy Blues?
Perché il “blues desertico” presente in alcuni brani di
Film |O| Sound
(come ad es. Tubi Innocenti con Fabio Rondanini)
me li ha ricordati!
•• No. Ma ora che me l’hai detto li andrò ad ascoltare sicuramente! Grazie del consiglio!
Dal blues desertico allo sci desertico.
Hai detto più volte di essere un grande fan dei Verdena:
com’è stato per te poterli aprire in concerto e suonare dal vivo con loro “Bring it on home”
(la cover di Sam Cooke presente in Film |O| Sound)?
•• È stato sicuramente emozionante anche solo perché, ad esempio a Napoli, eravamo in un club pieno di gente. Poi loro sono un gruppo che stimo tanto e mi piace tanto la loro attitudine e il fatto che curino molto il loro lavoro. E poi mi piace proprio la loro estetica musicale, li ho sempre trovati un’eccellenza, insomma. Sono stato lusingato di poter suonare insieme a loro e di poter condividere con loro un’apertura verso un mondo musicale più semplice, intimo. C’era anche Ramon a suonare la tromba! Non era una cosa preparata a tavolino, ognuno avrebbe fatto il proprio set. Poi lì per lì, sai, nei camerini, no? Esce fuori. C’era sempre una chitarra a portata di mano, alla fine suoni…e ci siamo detti: “facciamola!” Bisogna suonare non tanto per il proprio ego, per cercare di farsi dire che si è bravi: devi suonare e basta.
Ti ricordi qual è stato il primo cd che hai comprato?
•• Avevo 11 anni…“Adrenalize” dei Def Leppard. (ride)
Tutti hanno uno scheletro nell’armadio: io ho i Def Leppard! (ride ancora)
È uno dei primi degli anni ‘90, un disco super hard rock.
E con l’hip hop americano o italiano che rapporto hai? Ti piace?
•• Molto, molto. Tra gli italiani mi piacciono tanto i romani Colle Der Fomento, quel rap storico anni ’90. Dell’hip hop americano mi piacciono molto le cose che stanno facendo ormai da vent’anni The Roots. Mi affascinano le contaminazioni, il rap mescolato ad altro. Ad esempio Blakroc, il progetto rap rock dei Black Keys, mi è piaciuto, è stato un bel disco.
Nei tuoi dischi (mi riferisco anche a Goldfoil) affiora una vena folk,
che è presente anche in una parte della produzione di Jack White
(già dai tempi dei White Stripes).
È un ascolto che hai fatto e c’è anche un po’ di quello nel tuo lavoro?
•• Sicuramente ho ascoltato i suoi dischi e ho apprezzato tantissimo quello che ha fatto. Per me è un faro, un artista incredibile. Ovviamente non mi sono mai posto l’idea di potermici minimamente paragonare! Ho seguito la mia strada, sostanzialmente ho fatto quello che volevo fare io, con la mia cultura. Sono un uomo di un paesino vicino Roma e quindi mi cimento in tutto quello che faccio con estremo rispetto senza mai cercare di scimmiottare. Ad esempio, mi piace la musica africana ma la suono a modo mio: il pubblico se ne accorge quando le cose che fai sono fuffa.
A quale film collegheresti la tua musica?
Più nello specifico: vedresti una o più canzoni di Film |O| Sound
come colonne sonore di qualche film o qualche scena in particolare?
•• Io avrei voluto scrivere la colonna sonora del film Moon, un film meraviglioso, del figlio di David Bowie (Duncan Jones ndr). Mi piacerebbe abbinare un brano da un mio disco a un film del genere.
Per salutarci, hai un aneddoto da raccontarci?
Magari scavando anche nel passato, con i BSBE ad esempio.
•• Ricordo una volta che con i Bud aprivamo il concerto dei Wolfmother vicino Milano (al Castello di Vigevano, per il festival “10 giorni suonati” ndr). Era una giornata estiva ed era pieno pieno di zanzare…ma proprio una cosa allucinante! E mi ricordo che quella sera, ad un certo punto, mentre stavo suonando sul palco e cantavo, mi accorsi che mi stavo mangiando le zanzare! Ma ti giuro, ne avrò mangiate una decina! Stavo quasi a vomita’. Avevo un faro puntato proprio su di me e quindi ero un catalizzatore di zanzare!
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